Autore: Maurizio Blini
Titolo: Fotogrammi di un massacro
Editore: Ciesse Edizioni
Genere: Giallo
N. pagine: 224
Trama:
Cinque donne uccise barbaramente in un centro estetico cinese mettono scompiglio in una Torino sonnecchiante e annoiata. Un massacro senza precedenti che mette in difficoltà la sezione omicidi della Questura subalpina falcidiata dalla malasorte. Già, perché i veri protagonisti delle indagini torinesi, ovvero, il commissario Alessandro Meucci e l’investigatore privato Maurizio Vivaldi, sono fuori gioco. Il primo, trasferito ad Asti per incompatibilità ambientale, il secondo, rinchiuso in carcere con l’accusa di omicidio.
Sullo sfondo le contraddizioni di una polizia a geometria variabile, con le sue virtù ma anche con i suoi pregiudizi, limiti, umori e fragilità.
Una storia dalle tinte forti che scava nell’inquietudine dell’animo umano e che saprà rapirvi.
Recensione:
La cover di questo libro mi è piaciuta subito tanto.
Il viso di una donna cinese affiora da un fondo scuro, indirizzando a chi la guarda uno sguardo minaccioso... Ha solleticato la curiosità che c'è in me per il mistero che circonda i cinesi.
Il titolo, "Fotogrammi di un massacro", mi ha esaltato subito (ormai mi ci sono abituata, ad essere un pò eccentrica, leggo "massacro" e mi esalto... ma tant'è).
Ho saputo solo dopo che questo libro è il settimo di una serie, ma leggendolo me ne sono dimenticata quasi subito. Le vicende precedenti erano inserite con naturalezza nella storia, quindi ho seguito tutto senza problemi.
Al punto della storia in cui arrivo io a leggerla, c'è appena stato un omicidio.
Maurizio Vivaldi, ex poliziotto e ora investigatore privato, al confronto con l'assassino della sua fidanzata, il killer seriale Marco Gobbi, non ha resistito alla pulsione della vendetta, e gli ha sparato.
In virtù del suo stato di ex appartenente alle forze dell'ordine, gli è stato concesso il carcere militare.
Il suo caro amico, Alessandro Meucci, commissario di polizia (sezione omicidi, Questura di Torino), nell'attesa che sia fatta chiarezza sulla vicenda, viene trasferito ad Asti per "incompatibilità ambientale".
Ha inizio un lungo periodo di disequilibrio.
Meucci è destinato ad un incarico per il quale non ha esperienza, che ha il sapore di una restrizione e un esilio.
Vivaldi, in carcere, è costretto con i suoi pensieri (ne ho parlato qui) ad affrontare la perdita di Loretta e il dolore che lo annienta, e la ricerca di un senso a quanto è accaduto.
Nel frattempo, a Torino, presso un centro estetico cinese, qualcosa di terribile succede.
Cinque donne, delle clienti, vengono barbaramente uccise.
L'indagine, a causa della lontananza da Torino del cuore della squadra, il Meucci, procede senza frutto.
Quello che mi ha stupito, in questa storia, e che ho trovato davvero particolare, è l'intensità di sentimenti che riesce a trasmettere.
Ci sono i sentimenti che legano i membri della squadra: il commissario Meucci, gli agenti Favaro (il focoso Favaro), Federico e La Porta.
L'intensità schiacciante del dolore del Vivaldi per la perdita di Loretta. Mi ha messo a dura prova il suo dolore straziante, il suo desiderio di lasciarsi andare per raggiungerla, toglieva veramente il fiato.
D'altro canto, questo è un libro in cui nessuno è solo.
Il Vivaldi, in carcere, troverà un aiuto importante per il suo percorso nel dolore e conserverà l'amicizia del Meucci e l'appoggio della squadra.
Persino il Meucci, da solo ad Asti, trova nel cane Jago - tra l'altro il cane del suo amico Vivaldi - una compagnia, che rappresenta e tiene vivo il filo dell'amicizia tra i due.
Un altro punto importante, in questo libro, è l'unione del gruppo dei colleghi.
Un'unione che non è solo buon gioco di squadra nella risoluzione del caso ma è anche aiuto nei momenti difficili.
Come quando il collega Favaro ha un problema con il vizio del gioco e la squadra divide il problema, di modo che ognuno possa portarne una parte, per risolverlo più facilmente.
Mi ha molto colpito e scaldato, l'affetto che lega questo gruppo.
Un pò queste cose io le conoscevo...
La divisa di mio padre era nera, non blu. Forse non è proprio il paragone che un poliziotto vorrebbe sentire, ma assicuro che molte cose ci somigliavano.
Quando io ero piccola e, ogni tanto, andavo a fare i compiti nell'ufficio di mio padre, tutti si affacciavano per salutarmi. Tutti uguali con quella divisa, e a me sembravano tanti pari di mio padre, zii o fratelli.
E li ho visti concepire il problema di uno di loro come una cosa del gruppo, da risolvere col contributo di tutti.
E poi c'era quel gusto particolare per gli scherzi. Come quanto l'agente Girelli (mm) della scientifica porta al Meucci dei filmati di sorveglianza. Meucci finge di essere abituato a pagarle, quelle cose, provocando nel giovane agente un imbarazzo paralizzante che mi ha fatto schiattare dal ridere...
Ma è stato quando, nel carcere militare, il colonnello Sarlo prende sottobraccio il Meucci, che nella mia mente è suonato definitivamente il DinDinDin!
Il prendere sottobraccio era un gesto tipico in quell'ambiente. Segnalava l'inizio di una conversazione più personale. Segnalava agli altri la considerazione che avevi di quella persona. E segnalava anche, semplicemente, un accompagnarsi affettuoso.
Erano ricordi talmente nitidi che ad un certo punto ho sentito profumo di registri di carta e odore di armadi di metallo... Cose che c'erano, in quegli uffici.
... Lungo periodo di disequilibrio, dicevo.
Ma da un momento all'altro, torna il riequilibrio.
Il Meucci torna al volo a Torino, e riprende i nodi dell'indagine sugli omicidi al centro estetico cinese.
Indimenticabile la scena della macelleria. Perchè è vero, qui siamo in Italia, mica a CSI, e costerebbe troppo simulare il massacro con i manichini al sangue finto come fanno in tv... Scena credibile e italiana.
E' un gran peccato che nelle recensioni non si possa parlare anche del finale.
Posso solo dire che è in linea con l'intensità dei sentimenti del resto del romanzo, con l'ironia a volte crudele della sorte e che, semplicemente, strazia il cuore.
Una cosa sulla fine del libro devo assolutamente dirla. Sull'ultima pagina ci sono solo-due-righe.
E la risposta è sì. Quando le ho lette, ho pianto.
Mi viene da pensare alla mia migliore amica e a come giudichiamo diversamente le cose.
Per Valentina un libro è bello nella misura in cui il finale la fa piangere. La sua frase tipica è: "Bellissimo! Ho pianto tanto!"
Io, prima di leggerlo, avrei chiesto se c'erano morti ammazzati.
A Natale le regalo questo libro.
Dopo che avrà letto le due righe finali... mi vorrà tanto bene.
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